La 25° ora

Gli ultimi momenti

(Marzia). Strette di mano, sorrisi, balli e canti cadenzano ogni giornata, mentre la fatica dei gesti quotidiani ti gratifica e ti fa riflettere. Cosi sdraiata sotto gli alberi del bosco davanti casa, scrivendo i miei pensieri mi chiedo come sarà il mio ritorno e come farò a non pensare a tutto questo.

(Alfio) Questi diciassette giorni sono stati per me come un salto nel passato, il mio amato passato scout. Ho rivissuto l’essenzialità, la semplicità, mi sono fidato e lasciato guidare come un giovane esploratore alla sua prima esperienza, ho risentito la forza della natura che mi circonda e mi rende piccolo, ma allo stesso tempo parte integrante di questo mondo.

(Chiara). Gli ultimi giorni, la via del ritorno, il Daraja la Mungu…l’amico Rasta, la sua compagnia..il potere magico del tempo, della bellezza immune da tristi raggiri, gli splendidi panorami aggraziati dai  fluenti corsi d’acqua, il lungo cammino verso casa di Japhet; un tratto percorso su un mezzo di carico perlopiù sconsigliato dalla guida “viaggiare sicuri”. L’ebbrezza del godere della vita attimo per attimo che lo stesso credo della cultura africana vanta.

(Cristina) Cosa è l’Africa? Me lo chiedo spesso. È come vivere in un fuoco in mezzo ad una tempesta che non accenna a spegnersi, anzi si mantiene caldo…come il caldo torrido che senti mentre batti i tuoi piedi sulla sua terra rossa. La tempesta è la mia mente, tutto il resto è Africa.

(Gabriella) Arriva l’ultimo giorno, e quel posto ti è già entrato nelle pieghe della pelle e luci irreali di un tramonto che, dietro quel fuoco rosso bruciante, sembra chiudere in sé tutti i colori del creato, occhi intensi di bambini che improvvisamente non sono più tutti uguali e anzi – come potevi non notarlo! – sono tutti così diversi, nella forma delle labbra, negli occhi che parlano lingue diverse, nell’anima che ti arriva dritta dritta addosso senza mediazioni, un arcobaleno cangiante di colori e danze, tutto questo ti leva letteralmente il fiato e allora non c’è più logica nella tua reazione, non c’è imbarazzo, non c’è schema di galateo, stai sguazzando nella tua landa senza confine; e ti ritrovi a fare un passo avanti fra la gente, e senza foglio, senza programma, dici due parole che non sai nemmeno da quale angolo di te stanno uscendo, vengono fuori da sole, a dire che tutto questo tu non te lo scorderai mai e che niente più è come prima.

(Valentina) Alla festa di addio sperimento questa nuova sensazione di abbandono: entro nel cerchio attorno ai suonatori di ngoma, tra giovani che cantano rispondendo al richiamo di uno di loro, avanzano lateralmente e verso il centro, per poi allontanarsene. Si danza muovendo convulsivamente le gambe, piegando in avanti il busto. Mi colpiscono i sonagli che hanno legati alle caviglie. Il suono dei tamburi è liquido e profondo, insistente. Sono sfinita, ma non stordita. Mi sento bene. E nel lasciarmi andare a questo vortice, non mi perdo. Girando, lo sfondo si fa sfocato, ma la mia mente, che pur mi pare lucida, sembra ricomporre, come accade nei sogni, volti e giorni trascorsi, che già si fan ricordi.

(Andrea) Si tratta di un addio? No, è soltanto un arrivederci; gli uomini non sono come le colline, dicono qui, solo le colline non si incontrano mai!

(Valentina) Stiamo aspettando l’auto che ci porterà via dal villaggio. Un anziano benedice il nostro viaggio, ci invita a tornare. Salutateci i vostri genitori in Italia: dite loro che i vostri genitori africani li salutano. Io sono taciturna. Mi chiede perché non parlo. Sono triste e ansiosa, preferirei poter ridurre l’attesa. In realtà, vorrei poter restare qui ancora. La prossima volta resterai più a lungo, mi dice. Se ci sarà una prossima volta. Kama Mungu anapenda, dice lui. Se Dio vuole.

(Alessia) È forse quell’inizio di cui mi parlava Mzee  Chinoga: “Partire è importante, ma tornare è più importante, perché si riflette su quello che si è imparato e sulla base di ciò s’inizia a costruire qualcosa; il ritorno è difficile perché duro è l’inizio, ma l’importante è iniziare”.

(Peppe) Tanti pugni ho ricevuto nella mia esperienza africana e mai ho ricevuto pugni benefici quanto questi. Seduto sullo scomodo sgabello di legno, adesso, mi arriva il destro più potente del viaggio, la consapevolezza che gli ultimi attimi di vita al villaggio scorrono inesorabilmente via da me: l’esperienza sta giungendo a termine. Tra una decina di minuti vedrò comparire il taxi bianco e sporco che mi condurrà in città, la prima cosa bianca in villaggio che vedrò oltre alle mie mani.

(Alessia) Suona la sveglia alle ore 5.00. Alzo lo sguardo verso la finestra, il cielo è ancora scuro, si vedono le stelle. Tolgo la zanzariera, guardo la sveglia, quel maledetto giorno è arrivato: è il 24 ottobre. Ancora dormienti, ci dirigiamo in fretta in collina, con le torce e un bastone per allontanare eventuali serpenti dal nostro percorso. In lontananza chiarori e noi corriamo col fiato affannato verso la collina perché non vogliamo perdere nemmeno un minuto dell’alba. Arriviamo in cima stanchissimi, pronti a ricevere l’ultimo regalo di madre natura al villaggio, poco prima di riprendere quel taxi che ci riporterà a casa: Peppe, Diego, Camilla ed io, seduti con le spalle al villaggio e gli occhi rivolti verso est. Il cielo si colora di viola, lilla, rosa in un silenzio d’attesa. È  l’alba di un nuovo giorno, è l’alba del mio inizio.

(Anna). Vorrei portarmi a casa un po’ di questo pole-pole per potermi decentrare dal caos frenetico di una città come Torino…safari Njema! (buon viaggio!).Forse non è la fine di un’esperienza ma l’inizio di un nuovo viaggio…

(Stefania) Sono già sul pullman di ritorno, guardo fuori dal finestrino mentre Roberto mi fa cenno nella mia stessa direzione: l’alba. Ho un nodo allo stomaco alla vista dei primi chiarori.

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