L’arrivo

Contraddizioni metropolitane

(Cristina) In aeroporto di notte. Una bizzarra ragazza che ha viaggiato con me dal Cairo a Dar es Salaam. Così il primo piede in Africa.

(Stefania). La porta che mi ha permesso di entrare in Tanzania è stato l’aeroporto di Dar Es Salaam. L’ambiente attorno non è frenetico come, per esempio, l’aeroporto di Londra o Chennai. Il tempo scorre lento qui. L’emozione che provo è smarrimento, confusione e curiosità per cosa e chi vedrò appena uscita.

(Paola) Appena arrivata, mi resi conto che tutto era diverso da come me lo ero immaginato.

(Diego) Il primo impatto con l’Africa non è stato come me l’aspettavo: sì, c’erano le palme, i dala-dala (pulmini) carichi di persone, i moto-taxi, le bici stracolme, i tetti in lamiera, ma Dar es Salaam è una capitale e i palazzoni non mi hanno dato l’idea dell’Africa che avevo in mente.

(Alfio) Arriviamo a Dar es Salaam di pomeriggio in un’ora di punta caotica come non immaginavo. Il clima di settembre ci risparmia l’afa della città in altri periodi dell’anno, mentre mi accorgo del forte odore dei tropici, la miriade di gente per strada, i mercatini rionali, il mare.

(Nicola) Passiamo la prima notte al Jambo Inn, spartana Guest House sita in un particolarissimo quartiere arabo di Dar es Salaam, a pochi passi dal centro; non prima però di aver gustato dell’ottimo kuku masala (pollo con spezie indiane) in una bettola sul marciapiede antistante tra le viuzze della città.

(Sara) Il primo impatto con la Tanzania è stato strano. Essere catapultata a Dar Es Salaam in una città dove tutto si muove intorno a te, mi ha dato proprio l’impressione di rimanere ferma e basita ad osservare un popolo che vive in maniera così lontana dal nostro modo di fare: chi sfreccia in auto, chi in bici, chi su un dala-dala (pulmino) gremito di gente e cose e chi rimane fermo in attesa di chissà che.

(Federica) La prima sensazione del giorno, è stata quella di tanti passaggi veloci, che non riguardavano soltanto il tempo. Ero incuriosita da ogni particolare che catturava la mia attenzione, ogni cosa sfuggiva così velocemente che restavo inerme, cercando di capire quanto più possibile.

(Simone) In città la vita è frenetica, caotica, il commercio è alla base dei rapporti interpersonali. In città si notano le forti differenze sociali. In città trovi il povero mendicante accanto a uomini d’affari, la baracca di cartone come la villa lussuosa, chi centellina qualche fagiolo e chi approfitta di un ristorante esclusivo.

(Andrea) La cosa che più mi ha colpito è che la classe dominante, la borghesia che gestisce l’economia della città non è composta da africani, bensì da indiani e mediorientali.

(Massimo) Gli africani ci sono – eccome! – ma pare che la maggior parte di questi svolga lavori umili, ricevendo trattamenti piuttosto scortesi da parte dei proprietari o di chi gestisce quella determinata attività.

(Marco) Entrando nei soliti piccoli esercizi commerciali, ci rendiamo conto che il trattamento del cliente è stranamente vicino al modello euro-americano: entri, chiedi il prodotto da acquistare, paghi e vai via.

(Peppe) L’idea che il valore del denaro abbia compromesso la leggendaria voglia di dialogare che contraddistingue il popolo Africano si fa sempre più forte. Apparente idea di benessere, goduto da pochi, e montagne di rifiuti non smaltiti, patiti dal resto della popolazione: ci si chiede se questo è sviluppo.

(Marzia). Il primo suono che attira la mia attenzione è quello di monete agitate in maniera ritmata e costante nelle mani di venditori ambulanti di anacardi e ricariche telefoniche. È un suono che si distingue all’istante e che ti avverte della loro presenza nelle vicinanze.

(Alessia) Le voci di chi vende acqua fredda, sempre di fretta alla ricerca di clienti prima che il caldo la renda imbevibile, aggiungono rumore ai rumori di fondo. Poi bancarelle ed altri ambulanti, nomadi in costante movimento a portare con se prodotti di ogni tipo. Il carretto con il cocco disseta i passanti per soli cinquecento scellini, così come angurie e banane diventano un delizioso spuntino quando il sole è alto ed il caldo asfissiante.

(Caterina) Ma se la frutta e l’acqua giocano un ruolo determinante in una metropoli tropicale, non è proprio così per la vendita di oggetti prodotto della globalizzazione e della sua fame di mercato. Iniezioni di bisogni, iniezioni di consumo.

(Chiara) La prima sensazione che ho avuto è stata di totale smarrimento: io italiana – o meglio – bianca in mezzo ad una realtà davvero sconosciuta. Tanti profumi nuovi, tanti sapori nuovi, infatti non mi sono tirata indietro neanche nel provare nuove pietanze…in fin dei conti la mia curiosità doveva essere testata su tutto.

(Leandra) L’impatto con la città. Ci fermiamo in un bar dove non ho neanche il coraggio di prendere qualcosa. La città è un caos totale: gente per strada, sporcizia, gente per terra, autisti scatenati in una pazza guida e quello strano odore di cibo e che mi chiude l’appetito. Nonostante ciò non voglio demoralizzarmi. Arriviamo in hotel e da lì le prime riflessioni. Molto scossa e turbata non aspetto altro che partire l’indomani per arrivare al villaggio.

Questo sito web utilizza cookie per garantire una migliore esperienza di navigazione. Acconsenti cliccando il pulsante 'Acconsenti'.